Come evitare i danni della great resignation e del quiet quitting

Cosa possono fare le persone e le aziende per avere rapporti di lavoro felici e duraturi

I lavoratori italiani sono sempre più stressati, stanchi, insoddisfatti e possiamo anche aggiungere “disorientati” se consideriamo i risultati dell’ultima ricerca condotta dall’Osservatorio Hr Innovation Practice del Politecnico di Milano.

Great resignation e quiet quitting: due fenomeni sempre più diffusi anche in Italia

Nel 2022 quasi 2 milioni di italiani hanno lasciato il lavoro.
La great resignation (il grande movimento di dimissioni) e il quiet quitting (la tendenza a non accettare responsabilità) sono fenomeni sempre più diffusi nel nostro Paese. C’è chi li considera effetti della pandemia, chi dice che la pandemia ha semplicemente accelerato un processo già in atto da tempo.
Di certo la pandemia ha abbassato la soglia della sopportazione del disagio e ha aumentato le fonti di microstress.

Ai piccoli conflitti con i colleghi o ai frequenti cambi di priorità e di obiettivi si sono aggiunte altre fonti di microstress come l’invasione dello spazio orario privato. L’abitudine ad entrare nelle case delle persone durante i meeting online del lockdown ha reso più “normale” considerare le persone sempre a disposizione, contattabili e reperibili anche fuori dal consueto orario di lavoro. Ma tale tendenza è fonte di disagio per molti lavoratori.

 

Insicurezza, demotivazione e disorientamento a lavoro

Uno dei fattori di stress che vengono misurati nei test somministrati dalle aziende è l’insicurezza. Sappiamo quanto la pandemia abbia aumentato il livello di insicurezza delle persone.
Ma allora perché così tante persone decidono di lasciare il posto di lavoro anche senza avere un’alternativa sicura?
Perché, pur avendo un lavoro sicuro, non si sentono al sicuro per continui cambi di rotta e obiettivi in azienda, a causa di conflitti con colleghi o di pressioni da parte dei superiori. E soprattutto non hanno una motivazione per restare, hanno solo dei motivi.

La maggior parte delle persone è consapevole solo dei motivi che li “legano” ad un posto di lavoro: il sostegno economico della famiglia o il pagamento delle rate del mutuo della casa…
Chi non vuole rischiare o sa di non essere abbastanza appetibile per il mercato resta “attaccato” ad un lavoro per uno o più motivi. E magari opta per il quiet quitting.
Chi invece sente di potersi ricollocare e nel mercato vede nuove opportunità più favorevoli dal punto di vista economico si licenzia. Qualcuno lo fa anche senza avere già un’alternativa. E in questo possiamo leggere l’alto livello di disagio raggiunto dalle persone oppure il disorientamento che è anche confermato dalla ricerca sopraccitata.

 

Lavoratori disorientati

Una recente ricerca dell’ Osservatorio Hr Innovation Practice del Politecnico di Milano, ha rilevato che il 41% delle persone che hanno cambiato lavoro in Italia dice di essere insoddisfatto o pentito.
Ciò accade perché, come ho detto prima, le persone in cerca di un lavoro si fanno spingere da semplici motivi e non sono consapevoli delle proprie motivazioni.
La motivazione è qualcosa di più profondo di un motivo, è ciò che risponde alla domanda “perché faccio questo lavoro e non un altro, perché proprio qui? È ciò che fa sentire le persone ingaggiate e positivamente stressate.

L’importanza di indagare le motivazioni

Recentemente ho effettuato la restituzione di un’analisi TTI Success Insights ad un ingegnere che ha cambiato società, passando da una grande azienda del settore IT ad un’altra. Dopo tanti anni nella stessa azienda sentiva il bisogno di cercare nuovi stimoli, così nel 2020 ha deciso di cambiare, pensando che un nuovo ambiente e nuovi progetti potessero ridargli energia e voglia di fare.
Purtroppo si è ritrovato a vivere le stesse dinamiche che aveva già vissuto: poco spazio per sviluppare nuove idee, competizione interna e scarsi investimenti sulla formazione.
Tutti questi elementi confliggono con le 4 driving forces principali (spinte di motivazioni) dell’ingegnere.
Risultato: dopo 1 anno e mezzo la nuova esperienza lavorativa si è chiusa con insoddisfazione da entrambe le parti.
Da questa storia e dalle ricerche sui fenomeni di stress a lavoro, di great resignation e quiet quitting possiamo trarre alcune indicazioni per le persone e per le aziende.

Cosa possono fare le aziende

– Misurare i livelli di stress e di soddisfazione delle persone,
– analizzare le motivazioni delle persone e aiutarle ad esserne più consapevoli,
– sviluppare politiche di retention che tengano conto delle motivazioni delle persone,
– comunicare in modo chiaro i propri valori reali (quelli che si traducono in comportamenti) per attrarre le persone giuste,
– assumere persone e non solo competenze tecniche.

Cosa possono fare le persone

– Assumersi la responsabilità della propria felicità a lavoro,
– andare oltre i motivi e diventare consapevoli delle proprie motivazioni,
– scegliere l’azienda o il lavoro più adatti alle proprie motivazioni e non sperare semplicemente di essere scelte,
– comunicare in modo chiaro, oltre alle proprie competenze, anche le motivazioni.

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